Diritto alla riparabilità: i prodotti Apple

Non sono il tipo che rimpiange i “bei vecchi tempi” che poi, in verità, tanto belli non erano, anzi. La vita media era vent’anni più breve di oggi, la mortalità infantile molto alta e chi riusciva a crescere invecchiava più in fretta, tanto che a cinquant’anni sembrava già anziano. Il cibo era più genuino ma scarseggiava, altro che carne e pesce tutto l’anno, in alcune zone d’Italia la dieta invernale si riduceva a polenta e poco più. Le case erano fredde in inverno, mentre d’estate le auto diventavano forni. E potrei continuare.

Ma c’è una cosa che rimpiango del passato: la possibilità di mettere le mani nei computer, cambiando componenti fondamentali come il disco o la RAM e, nei desktop, anche la scheda grafica o il processore.

Intendiamoci, i computer odierni sono dei mostri di potenza rispetto a quelli di 10-15 anni fa, e questo deriva anche (ma non solo) dall’integrazione sempre più spinta dei componenti, che rende i computer attuali dei sistemi unici e molto meno modulari rispetto al passato. Ma questo significa anche che sono diventati più complicati da smontare di una scatola segreta giapponese.

Fonte: Immagine di una scatola segreta giapponese generata da DALL-E attraverso ChatGPT.


Apple in questo è stata un precursore, nel senso che, se la memoria non mi inganna, è stata la prima azienda a integrare in modo sempre più spinto i componenti dei propri prodotti hardware. A volte a ragione, come nel caso degli iPhone, dove la batteria integrata permette di prolungarne la durata diminuendo allo stesso tempo il peso dello smartphone, oppure degli AirPods e dell’Apple Watch, che senza questa integrazione non potrebbero proprio esistere.

Ma con i Mac questa integrazione ha portato ad una chiusura eccessiva del prodotto finale, snaturando l’idea di computer che cambiano il mondo e che permettono di pensare in modo differente.


Prendiamo l’iMac. Gli iMac G5, quelli prodotti a partire dal 2004 per intenderci, si aprivano dal retro svitando tre viti e davano accesso a tutto l’interno della macchina, permettendo di cambiare praticamente tutto, perfino il display LCD.

Ma a un certo punto certi progettisti più attenti al design che alla funzionalità hanno deciso che il corpo dell’iMac doveva essere un pezzo unico di alluminio (unibody), trasformando lo schermo LCD nell’unico punto di accesso all’interno del computer.

Smontare uno schermo LCD da 20 e più pollici non è una operazione alla portata di tutti, soprattutto se questo non è fissato non con delle semplici viti (già immagino lo sguardo disgustato dei progettisti di cui sopra), ma con dei potenti magneti o, peggio ancora, con delle strisce iperadesive.

E, una volta superato questo primo ostacolo, anche cambiare la RAM o la batteria interna è diventata una operazione che costringe a fare a pezzi l’intero computer, nonostante l’interno del Mac sia mezzo vuoto o quasi.1


Oggi è anche peggio. Quando acquistiamo un Mac con processore Apple Silicon siamo obbligati a decidere al momento dell’acquisto la dimensione della RAM e del disco SSD. Dato che questi due componenti sono integrati nel blocco del processore (la RAM) o saldati sulla scheda logica (l’SSD), la loro dimensione non potrà più essere modificata, a meno di non cambiare l’intera scheda logica (oppure di modifiche fai-da-te da prendere con le pinze).

Per garantire una vita più lunga al proprio nuovo Mac, tanti utenti preferiscono quindi largheggiare con le dimensioni di questi componenti. Ma questo significa dover sottostare ai prezzi letteralmente da rapina praticati da Apple: 230 euro in più per passare dal ridicolo disco SSD da 256 GB ad uno più normale da 512 GB, e ben 460 euro per il salto fino a 1 TB. Oppure altri 230 euro per ogni 8 GB di RAM in più rispetto al modello base.2

Il bello è che gli iMac odierni sono sottili quanto un Air, ma dentro sono praticamente vuoti e, per di più, sono di nuovo molto facili da smontare. Con tanto spazio libero, ci voleva molto ad inserire qualche connettore per aggiungere un secondo disco SSD o dell’altra RAM? Questi componenti sarebbero di sicuro meno efficienti a quelli integrati, ma permetterebbero di adattare meglio la macchina alle esigenze variabili nel tempo dei suoi utenti.


Si dirà: ma queste scelte ingegneristiche rendono il Mac più affidabile, dato che non ci sono connettori che possono rovinarsi. La semplificazione delle connessioni sulla scheda logica permette anche di renderla sempre più piccola, più facile da progettare e di conseguenza più economica.

Tutto vero. Ma che ce ne facciamo di una scheda madre piccolissima quando l’iMac è già grande di suo? Inoltre, la scheda logica sarà anche più economica da produrre per Apple, ma l’utente finale non ne ricava alcun vantaggio: sostituirla può costare intorno ai 1000 euro, rendendo di fatto più conveniente acquistare un Mac nuovo.

E quanto detto per l’iMac, vale a maggior ragione per il Mac Studio e il Mac Pro, macchine professionali di costo e dimensioni molto più importanti dell’iMac, ma che non possono lo stesso essere aggiornate dopo l’acquisto (il Mac Studio), oppure possono essere aggiornate in modo molto limitato (il Mac Pro) usando quasi esclusivamente componenti proprietari Apple.

Ha senso tutto ciò? I Mac sono prodotti che durano anni ed anni, e chi li compra lo fa non solo perché sono belli, ma direi soprattutto per l’eccellente integrazione fra hardware, software e il resto dell’ecosistema Apple. Rendere le macchine più accessibili e più facilmente aggiornabili li renderebbe anche più adattabili, e sarebbe un colpo da maestro anche per l’immagine di Apple, che ultimamente sembra un po’ appannata.


  1. A parte certi modelli da 27" che hanno mantenuto uno sportellino che permetteva di accedere facilmente alla RAM. ↩︎

  2. Il fatto stesso che questi prezzi siano sempre uguali dimostra che dietro di essi non c’è una motivazione tecnica, ma solo una scelta di marketing. ↩︎